L’è 60 anni che fo il calzolaio…

Una vita di povertà riscattata dall’arte, dall’amicizia, dalla solidarietà. Il racconto di Paolo Tellini si solleva dalla piccola casa addossata al teatro romano, nel cuore di Fiesole, attraversando la memoria di un novecento artigianale, di scalpellini e calzolai, botteghe e passioni per le antichità e le arti. Fiesole del racconto di Paolo Tellini è luogo di amicizie, gesti concreti di sostegno e solidarietà.

Nel 2011 (progetto “Officina del racconto”), Paolo Tellini ha raccontato la sua storia di vita. La narrazione parte dalla piccola casa adiacente alle mura del Teatro romano, in cui Paolo ha vissuto tutta la sua vita. Una vita di povertà, segnata dalla volontà di cavarsela “ho fatto tutto da me”, e dalla passione per l’arte.  La casa è il luogo della memoria familiare, “antica e protetta dalle Belle Arti”, “son sempre stato in questa casa, dall’epoca della mi’ mamma, dei miei nonni, dei miei zii…” dominata dalla figura della madre. La memoria si muove attraversando i tempi della storia familiare e personale: l’infanzia difficile, la morte della madre, la solitudine, la malattia, il sostegno dell’assistenza pubblica, la solidarietà cittadina, le amicizie. Paolo ripara scarpe, dipinge, scolpisce, vivendo il suo quotidiano tra le botteghe, la farmacia, la piazza. Luoghi legati nel racconto da gesti di solidarietà ed affezione: il soprannome Ferragamo, le riparazioni alle scarpe che gli permettono di arrotondare la pensione, l’accoglienza degli amici come “l’ortolana Carla”, il farmacista Francesco Perna, il ristorante “Perseo”, l’amica americana, “la Tina” che lo aiuta ad organizzare le mostre di pittura. Il racconto è testimonianza della catena di solidarietà che sostiene Paolo nella sua difficile esistenza.

Solidarietà fiesolane. Una vita artigiana

Abbreviazioni: V. Valentina L. Zingari; T. Paolo Tellini

Son sempre stato in questa casa, dall’epoca della mi’ mamma, dei miei nonni, dei miei zii… l’ha un secolo questa casa…

T. Io son nato il 25 settembre nel 1939, ho 72 anni, son sempre stato in questa casa, dall’epoca della mi’ mamma, dei miei nonni, dei miei zii… l’ha un secolo questa casa… l’hanno rifatta però… ora morta la mi’ mamma son rimasto io, sono aiutato dalle USL, poi mi sono messo a fare pitture, sculture… tutte queste cose qui… […] V. Tu andresti a vivere in un altro posto, lasceresti Fiesole?
T. No, perché io sono abituato a questa casa, pago l’affitto, una bischerata, ma è tanti anni che son qui… quando nacqui la mi mamma la mi portò allo Spedalino, poi mi portò qui, sicché io sono stato sempre qui, è una vita che sto qui, io… la casa avrà un secolo… poi l’hanno rifatta tutta, prima c’era topi, talpe, ogni cosa, si entrava nel letto con i topi, poi allora si aveva le pulizie, e allora comincionno a fare i lavori… ora è tutto nuovo… vede questa casa se l’affittano, ma se la deve buttar giù un possono, perché c’entra le Belle arti, c’è il teatro accanto, non si può buttar giù, qui c’è il teatro romano, questa l’è antica proprio… le Belle Arti lo dissero di non toccarla giù… dopo quando son morto qualcosa faranno, o l’affittano o la danno ai signori, ma buttar giù un la buttano… questa casa era di quattro stanze, poi era grande, e poi fecero la separazione e lo presero loro come magazzino… ora se ero sposato me la lasciavano tutta, ma ero solo, qui c’era la porta che andava di là…
T. Questa l’è antica proprio, l’è del comune, le Belle Arti dissero, “non si può toccare”… Dopo quando son morto, o l’affittano o la fanno per dei signori… rifatta.

Vo al Perseo, vo lì, sono miei amici…

T. Io mangio e poi vo’ fuori… non sto sempre in casa… […] V. E dove va con i suoi amici?
T. Io vo’ anche dai ragazzi giovani, scherzano con me… di Firenze, ci hanno il ristorante, scherzano, vo al Perseo, vo lì, sono miei amici, mi tengano come se fossi il su babbo, il su zio, e vo’, “Vieni a mangiare!” si chiacchiera di bischerate… è così, pago dieci euro, non è che vada tutti i giorni a mangiar, ma insomma… A volte vo a mangiare dal Perseo, tanto se devo stare a comprare, fare… vo lì… Tina è un amica, che fa lei, ci pensa tutto lei, fa i poster, ci pensa lei…

Io per dire la verità l’è 60 anni che fo il calzolaio, sicché lo saprò…

V. Ma come mestiere cosa ha fatto?
T. Prima ho fatto il calzolaio, poi le pitture, e poi mi son messo a fare queste qui… la pietra… per vedere se ero capace, perché il mi’ zio era nelle cave, cosava la pietra l’era scalpellino… si chiamava Mario mi pare, però io non l’avevo mai fatto… sì, sono andata dal Papini e poi l’ho fatto a modo mio… non è che mi abbia insegnato lui…
Io per dire la verità l’è 60 anni che fo il calzolaio, sicché lo saprò…
V. Mi dica un poco com’era a Fiesole, come si lavorava, il suo mestiere…
T. Io per dire la verità a vent’anni andiedi da uno e guardare come faceva a smontarle, a rifarle, senza toccare i ferri, senza… e insomma in conclusione io ho imparato e ora le ho fatte da me… è 60 anni che le fo. Io avevo la cantina giù… prima sono andato in negozio, l’ho preso in affitto, poi veniva le bollette alte, stetti dieci anni e chiusi ogni cosa… poi morì la mamma, la mi morì nell’85, ed io dissi “basta, ora vo via!”, e chiusi…
V. E ha continuato in casa…
T. Sì, giù ci ho una cantina, e fo’ i lavori giù, che l’è roba sempre del comune… due stanze vecchie, due cantine, vecchie, e mi son messo giù…[…] V. Mi dica, di calzolai a Fiesole ce n’era tanti a Fiesole?
T. Sì ce n’era tanti, ora so morti tutti, è rimasto Fiorenzo che sta in Borgunto e io… quello con le scalettine, anche lui le fa in casa… io non ci avevo lavoro, in conclusioni andetti dal sindaco, mi disse “ti do la stanza giù e tu fai il calzolaio!” . Poi m’ammalai di cuore, m’ammalai di tutto, e sono andato in pensione, per malattia…

Le genti mi chiamavan Ferragamo, ma non ero Ferragamo io…

T. No, io andetti da uno che era calzolaio a Fiesole e aveva una botteghina, piccola, io andavo lì e guardavo come smontava, come lavorava, andavo lì e guardavo, l’ho tenuto in mente… e poi è andato a finire che ho imparato da me… […] C’era povertà, c’era miseria però si stava meglio d’ora…
V. Ma insomma com’era una volta, mi racconti un poco…
T. Che s’era amici, si andava in piazza s’era tutti uniti, ora invece siamo tutti sparpagliati… non è come una volta, io ho bell’e detto le cose come stanno.
T. Quando ero giovane c’erano le botteghe, io lavoravo in casa, poi misi bottega e stetti lustro con le tasse… e andai in pensione, quella sociale… ma ora bisogna che mi arrangi da me, con 600 euro tra luce, gas…[…] V. Lei andava a scuola?
T. No, io ho fatto tutto da me, ho imparato da me a scrivere… leggere… ci mandavan via a quell’epoca, ci prendevano per le orecchie, se si arrivava tardi, ci rimandavano a casa, un ti facevano entrare, e allora dissi basta, e ho imparato da me… ora i conti li so fare… ho visto e ho imparato da me, anche il calzolaio, non era facile, a spaccare una scarpa si pena poco… […] le genti mi chiamavan Ferragamo, ma non ero Ferragamo io…

Le genti vengono, sanno che fo il calzolaio e me le portano, io le rifò…

T. Prima c’era più vita a Fiesole, ora siamo diventati… come si può dire? Alle nove c’è il coprifuoco bisogna andare a letto secondo loro, le genti un giran più come prima, prima fino a mezzanotte il tocco… ora la gente un girano più come prima… ora alle nove le genti devon esser belle in casa… prima s’andava a ballare, s’andava fuori con gli amici… è cambiato tutto.[…] T. Le genti vengono, sanno che fo il calzolaio e me le portano, io le rifò… tanto per guadagnar qualcosa…
V. Conosce tutti a Fiesole?
T. Sì, io sì, io ci ho la bellezza di 72 anni, le genti vengono, picchiano, mi chiedono “mi fa questi tacchi?” e piglio icchè vogliono… Le genti vengono, le lascian le scarpe dalla Carla, l’ortolana, o se no da me qui, dipende… ho fatto risolatura, tacchi, borse, cinghie, tante cose… 60 anni, mica un giorno!
V. Dove si procura tutti i materiali?
T. Vo dai cuoiai, quelli che fanno il cuoio, vendono questa roba qui… vendono questa roba qui, mastice, gomma, cuoio… vo con un mio amico, con la macchina, si carica e si torna su…bisogna vada a comprare… eppure, è così!

Francesco Perna è un amico…

T. Francesco Perna è un amico, lo conosco, è lui che mi ha aiutato, ha fatto le foto alle pietre, ai quadri, ha fatto le foto lui e poi le ha sviluppate… l’è tanto che conosco Francesco, lui, la moglie, la figliola… io ho conosciuto il su’ babbo, l’era uno che faceva le medicine…
V. E queste foto chi gliele fa?
T. Me le fa la Tina con la macchina, l’è una americana la sta qui in Italia, ora l’è italiana, ha preso la residenza italiana, la va di qui, di là, andò lei stamane dal Becattini a dirgliene lei, se era per me… mi fa le foto con la macchina, ma poi la m’ha fatto fare anche i dischi, i dischi delle pitture mia, io ci ho i dischi, se un era per lei… io le metto e le guardo…

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Paolo Tellini, pittore calzolaio. Una storia di vita fiesolana 
Un racconto di Paolo Tellini in dialogo con Valentina Lapiccirella Zingari, nell’ambito del progetto « Officina del racconto », 10 Ottobre 2011, Fiesole Teatro Romano
Il primo incontro con Paolo Tellini è avvenuto in una serata dell’Ottobre 2011, a Fiesole. La casa di Paolo Tellini è addossata al Teatro romano, e nel racconto si popola di presenze familiari: la madre, il padre, gli zii. Una casa povera, una famiglia sempre al limite della sopravvivenza, un’esistenza difficile che la passione dell’arte sembra riscattare. Nei diversi periodi della vita, la famiglia vive di carità, assistenza, solidarietà ed amicizia.

Mentre la registrazione sonora da cui è tratta la selezione di frammenti è avvenuta durante il nostro primo incontro, nel 2011, le immagini sono state riprese durante un secondo incontro, avvenuto nella primavera del 2014, in preparazione del montaggio audiovisivo “Vivere e lavorare a Fiesole. Competenze e solidarietà”.

 Questo paesaggio narrativo raccoglie frammenti da cui emerge il percorso di vita di Paolo Tellini calzolaio dentro un tessuto di solidarietà e socialità che si concretizza in tanti concreti gesti della comunità cittadina: la possibilità di esercitare il mestiere dopo la chiusura dell’attività, la solidarietà degli amici che lo sostengono procurandogli lavoro, l’accoglienza quotidiana nelle botteghe e nei ristoranti, tante diverse forme di disponibilità.

Emerge il ritratto di un artigiano autodidatta, fiero del mestiere e della sua capacità a cavarsela attraversando le difficoltà e le prove della vita. La cantina di casa è il suo laboratorio artigiano. Con gli strumenti del mestiere, grazie alla solidarietà di tanti amici, Paolo riesce ad arrotondare la pensione. La cantina è abitata da macchinari, attrezzi, dipinti, scarpe, ricordi.