Io quando c’era la guerra, nel 49, ero piccino…la mi’ mamma faceva la paglia…

Un percorso nel 900 fiesolano: la lavorazione femminile della paglia con ”l’ago torto”, i banchi in piazza, “i forestieri di passaggio” che acquistano gli oggetti di produzione locale sono memoria della madre. La guerra, il fascismo ed il comunismo sono due volti della storia incarnati nella memoria del padre, la cui esistenza è travolta dalle alterne vicende della politica locale.

Il primo incontro con Paolo Tellini è avvenuto in una serata dell’Ottobre 2011 (progetto Officina del racconto), a Fiesole. Francesco Perna, durante un incontro avvenuto nella sua farmacia a Fiesole in quello stesso periodo, evocando alcuni personaggi fiesolani mi aveva parlato della vena poetica e visionaria di Paolo Tellini, mostrandomi fotografie delle sue opere. La casa di Paolo Tellini è addossata al Teatro romano, si può dire che Paolo abbia vissuto la sua esistenza in una dimensione di rapporto quotidiano con l’arte e le arti.  Lo zio scalpellino lo lega alla tradizione della pietra serena di Fiesole, il teatro romano è presenza familiare e quotidiana, il racconto è immersione in un universo popolato da opere d’arte, sogni di antichità e incontri con artisti, pittori del passato e del presente.

Fiesole di Paolo Tellini. Una famiglia fiesolana nella storia del 900

 Abbreviazioni: V. Valentina L. Zingari; T. Paolo Tellini

Vivere a Fiesole fu un’opportunità…. ma fu anche la scelta di una città elettiva

V. Ma quali erano gli altri mestieri a Fiesole? La paglia…
T. La mi’ mamma faceva la paglia sì, la mi mamma la faceva, la ci aveva un ago torto, la comprava la paglia a faceva le borse di paglia, faceva la paglia e ha visto quella nappa in paglia, che aveva i manici, du’ manici, con l’ago torto, e le vendevano… a quell’epoca c’era i banchi in piazza, ora un c’è rimasto più nulla, c’era i banchi della paglia, degli occhiali, i banchi delle borse… li hanno levati tutti, tutti…
V. Ma tante donne di Fiesole?
T. No, la faceva la mi’ mamma e altri che lo sapevano, la mi’ mamma lo faceva, ci aveva un coso con le ruzzole, come quelli che metton gli occhiali, ecco, un banchino! E metteva tutto…. Andava lì dove c’è il campanile lì, sotto lì, vendeva paglia, occhiali, faceva tutto da sé, si metteva lì e i forestieri passavano e li compravano… faceva i ciuchini, i cavallini in paglia, e li vendea… la faceva il cavallino o il ciuchino tutto con la paglia, tutto con la paglia a ago torto.
V. Chi glielo aveva insegnato?
T. Da sé, ma con gli aghi torti apposta, io ce li ho in cantina, gli aghi torti della mi’ mamma… sono aghi torti apposta, ce li ho in cantina, un l’ho buttato via, me ne ricordo… si piglia la paglia e si fa così, si gira, e viene una borsa di paglia, di tutti i colori… secondo i colori che uno volevo… la comprava dal Maioli a Firenze, che vendeva la paglia, si metteva con quest’ago e faceva la borsa, la borsa di paglia… con i manici, con la nappa… poi metteva la nappa…la mi mamma li sapeva fare, si vede era stata a imparare da qualche donna… l’ago ce l’ho sempre… il carrettino, il banchino lei aveva la patente, ci aveva come un libro, e lei portava poi in comune… si metteva qui, con le ruzzole, e il pomeriggio… io andavo a bottega lassù, lei qui, fuori. Sono i tempi antichi, di una volta… lei aspettava la gente e faceva le borse con l’ago torto, le forestiere le compravano… ora se l’avevo ora, sai quanto valeva, tutta fatta a mano… ma non era fasciata dentro, era tutta, tutta di paglia, la faceva i manici e la nappa.

Sì, perché a Fiesole c’era i banchi di paglia…

V. E questa era proprio un’usanza di Fiesole?
T. Si, perché a Fiesole c’era i banchi di paglia, vengono i banchi a Fiesole ma la paglia un c’è più, la un esiste, io l’ho visto da quelli che vendono i giocattoli, un poco, ma… che è paglia quella? All’epoca lei faceva queste cose, la pigliava la carta, faceva il ciuchino e poi lo imbottiva, di paglia, roba all’antica… le dicevo, “mamma falle ste borse!” sai una borsa in quel modo quanto la costa ora? Le faceva e le vendeva… le faceva e le vendeva, sicché un ci sono… c’è solo il ricordo. Poi c’era un altro là aveva un banco tutti di paglia, allora la mi’ mamma quando un aveva i quattrini, faceva una borsa ad ago torto e gliene portava là… ora son morti, son vecchi, uno aveva un banco grande, vendeva la paglia…

C’era la Lambertina, Lambertina lei la faceva i cosi ad ago torto, come la mi mamma, l’erano amiche, la stava a San Francesco…

T. C’era la Lambertina, Lambertina lei la faceva i cosi ad ago torto, come la mi mamma, l’erano amiche, la stava a San Francesco, vede indoe c’è i massi… metteva tutti, le borse, l’erano amiche… c’era una donna anziana, faceva le borse di paglia, l’erano amiche… si mettevano in un sasso e mettevano le borse al muro, al masso… c’è un negozio, sotto c’è un masso? Ecco, la stava lì a vendere, questa vecchia, la sua amica, quest’amica ha insegnato alla mi mamma a fare le borse ad ago torto… ora son morte tutte e due…
V. E quella coppia che ha la bottega di San Francesco?
T. Prima c’era l’Emma, ci aveva un figliolo, aprì questa bottega, lei un vendeva la paglia, ma la pelle, era una donnona grossa… sotto quel masso c’era la Lambertina, una donna anziana, andavano a vendere lì al sasso… il su’ marito faceva il calzolaio, andavo io a cucire le scarpe, ad aiutarlo, mi chiamava, “Paolo tu vieni a cucire?” Con la resina, bucavo e cucivo, poi rifiniva da sé… gliene cucivo io. Si chiamava Valentino il marito di Lambertina, l’amica della mi’ mamma… mi dava da mangiare e sigarette per fumare, soldi un me li dava, stavo lì e cucivo, un paia, due paia… lui un ce la faceva a cucirle, qualche volta, non sempre mi chiamava…

Nel 49, ero piccino, me ne ricordo della guerra…

T. Io quando c’era la guerra, nel 49, ero piccino, me ne ricordo della guerra, ero in questa casa qui. Poi di qui ci portonno in seminario perché qui bombardavano… ci portonno in seminario là, qui in piazza, dove c’è i preti… dove c’è quella casa grande, con tutte le finestre, ci portonno lì quando c’era i tedeschi, io mi affacciai in piazza e vidi i tedeschi coi mitra in piazza puntati… poi ammazzonno tre carabinieri… all’Aurora, gli fecero far una buca a poi gli sparonno, lì all’Aurora dove c’è il bar,  c’era gli alberi e la terra, ora è asfaltato, gli sparonno e li ammozzonno, eran tra carabinieri giovani, c’era i tedeschi nel 44… mi’ babbo gli era in comune facevo lo spazzino… ma poi non era assicurato,  di lì poi i sindaci vecchi lo misero al cimitero, a sotterrare i morti.

Qui eran tutti fascisti, sia in comune sia le genti, eran tutti fascisti, poi vennero i comunisti e chi era fascista lo mandavan via…

T. Perché il mi’ babbo, qui erano tutti fascisti, sia in comune sia le genti, eran tutti fascisti, poi vennero i comunisti e chi era fascista lo mandavan via, capito? Mi’ babbo l’era fascista, e lo mandaron via… ma lui lo faceva non per picchià le genti, lui lo faceva per dar da mangiar a noi… perché non ci s’aveva da mangiare a quell’epoca, la mi’ sorella andava a far l’elemosina per mangiare… c’era la mi’ mamma, la mi’ sorella, eran tutti qui, le mie zie, la mi’ mamma, la mi’ sorella… tutti in questa casa qui. Poi hanno trovato casa a Firenze e sono andati via.
T. Per lui fu dura perché campava con i soldi che le davan le genti, che sotterrava… poi c’era la miseria. Poi qui c’era un becchino prima, in questa casa, e il mi babbo la prese, il becchino morì e la casa rimase a noi, cioè è rimasta al comune, venivano tutti qui in questa casa, i miei zii, tutti, chi in cantina, c’era la miseria… […] Però, lui campava sui morti che sotterrava per mangiare, non è come ora… prima… mi mamma aveva una piccola pensione, è morta nell’85 di giugno, è 22 anni che è morta, a 78 anni. Mi’ babbo è morto di cirrosi epatica a 46 anni, allora non curavano, morivano, ora c’è le medicine e li salvano…

WP_I_Short_PDFSCHEDA INTERVISTA – Scarica il PDF
Paolo Tellini, pittore calzolaio. Una storia di vita fiesolana 
Un racconto di Paolo Tellini in dialogo con Valentina Lapiccirella Zingari, nell’ambito del progetto « Officina del racconto », 10 Ottobre 2011, Fiesole Teatro Romano
Il primo incontro con Paolo Tellini è avvenuto in una serata dell’Ottobre 2011 (progetto Officina del racconto), a Fiesole. Francesco Perna, durante un incontro avvenuto nella sua farmacia a Fiesole in quello stesso periodo, evocando alcuni personaggi fiesolani mi aveva parlato della vena poetica e visionaria di Paolo Tellini, mostrandomi fotografie delle sue opere. La casa di Paolo Tellini è addossata al Teatro romano, si può dire che Paolo abbia vissuto la sua esistenza in una dimensione di rapporto quotidiano con l’arte e le arti.  Lo zio scalpellino lo lega alla tradizione della pietra serena di Fiesole, il teatro romano è presenza familiare e quotidiana, il racconto è immersione in un universo popolato da opere d’arte, sogni di antichità e incontri con artisti, pittori del passato e del presente.

Mentre la registrazione sonora da cui è tratta la selezione di frammenti è avvenuta durante il nostro primo incontro, nel 2011, le immagini sono state riprese durante un secondo incontro, nella primavera del 2014 (progetto Narrando@Fiesole), in previsione dei montaggi audiovisivi. Durante questo secondo incontro Tellini ci fa visitare la casa, la cantina, la camera dove sono accatastati i suoi quadri che ci presenta uno ad uno, come personaggi in processione. 

Questo paesaggio narrativo propone un percorso attraverso frammenti della memoria familiare. Ne sono protagonisti i genitori e attraverso di loro una parte della città del novecento.  La memoria della madre è legata al lavoro della paglia, industria molto importante in Toscana e a Fiesole. La presenza della madre con il suo banchino della paglia e l’ago torto, apre il racconto ad altre presenze femminili, di artigiane e commercianti di varie produzioni locali, in un paesaggio già legato al turismo internazionale. La memoria del padre si connette con la politica locale e nazionale: il fascismo che determina la perdita del lavoro di impiegato comunale ed il cambiamento di mestiere, la guerra con i suoi morti e le sue violenze.